Ecco che cos’è spesso il nostro amore: una promessa che si fatica a
mantenere, un tentativo che presto inaridisce e svapora, un po’ come
quando al mattino esce il sole e si porta via la rugiada della notte.
Quante volte noi uomini abbiamo amato in questa maniera così debole e
intermittente. Tutti ne abbiamo l’esperienza: abbiamo amato ma poi
quell’amore è caduto o è diventato debole. Desiderosi di voler bene, ci
siamo poi scontrati con i nostri limiti, con la povertà delle nostre
forze: incapaci di mantenere una promessa che nei giorni di grazia ci
sembrava facile da realizzare. In fondo anche l’apostolo Pietro ha avuto
paura e ha dovuto fuggire. L’apostolo Pietro non è stato fedele
all’amore di Gesù. Sempre c’è questa debolezza che ci fa cadere. Siamo
mendicanti che nel cammino rischiano di non trovare mai completamente
quel tesoro che cercano fin dal primo giorno della loro vita: l’amore.
Però, esiste un altro amore, quello del Padre “che è nei cieli”.
Nessuno deve dubitare di essere destinatario di questo amore. Ci ama.
“Mi ama”, possiamo dire.
Nella fame d’amore che tutti sentiamo, non cerchiamo qualcosa che non
esiste: essa è invece l’invito a conoscere Dio che è padre.
L’espressione “nei cieli” non vuole esprimere una lontananza, ma una
diversità radicale di amore, un’altra dimensione di amore, un amore
instancabile, un amore che sempre rimarrà, anzi, che sempre è alla
portata di mano. Basta dire “Padre nostro che sei nei Cieli”, e
quell’amore viene.
Papa Francesco - L’Udienza Generale, 20.02.2019